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Su Repubblica :Da Guccione al glamour, la scoperta di Ragusa 15/02/2010 

 

 

 

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Quando nel 1978 Enzo Sellerio pubblicò un volume, "La pietra vissuta", dedicato al paesaggio degli Iblei, il lembo della Sicilia orientale compreso tra la vecchia Ibla, Scicli e Modica era in gran parte sconosciuto agli itinerari turistici e culturali, e le fotografie in bianco e nero di Giuseppe Leone, con i muretti a secco inerpicati sull' altopiano, le masserie e le case contadine restituivano un' idea del paesaggio isolano molto diversa dalle grandi e assolate estensioni feudali che avevano dominato l' iconografia del neorealismo. A quella data, Franco Sarnari e Piero Guccione si erano già stabiliti da alcuni anni nei pressi di Scicli: per Sarnari, romano, si era trattato di una scoperta e di un innamoramento, per Guccione, che a Scicli era nato, di un ritorno; per entrambi, la scelta - la scommessa - era di abbandonare l' ambiente artistico della capitale dove si erano affermati per ritrovare non tanto nuove ragioni alla pittura quanto, semmai, una diversa necessità dell' atto del dipingere, nutrito dal contatto quotidiano con il paesaggio ibleo. Non si parlava ancora di "Gruppo di Scicli", l' etichetta un po' sbrigativa con cui l' insieme di artisti riuniti intorno a Sarnari e Guccione è stato poi definito: per questo bisognerà aspettare l' inizio degli anni Ottanta, altri ritorni - quelli di esponenti più giovani, Carmelo Candiano e Franco Polizzi - l' aggregarsi di una autrice francese, Sonia Alvarez, compagna di Guccione; ma il seme era gettato, e con esso il sedimentarsi non di una scuola ma di un' idea della pittura dove l' esercizio della mano e dell' occhio, l' attitudine a guardare, il confronto con una nozione del tempo come sospesa e rarefatta sembravano marcare una progressiva differenza da mode e tendenze. A quei nomi se ne aggiunsero via via degli altri, con formazioni variabili, sino alla composizione attuale (con gli inserimenti di Giuseppe Colombo, Salvatore Paolino, Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro; e si giunge così alla generazione nata tra gli anni Sessanta e Settanta) a cui ha appena reso omaggio la mostra allestita al centro Chiaroscuro di Scicli curata da Antonio Sarnari. Vent' anni quindi; un arco di tempo in cui i riconoscimenti individuali e di gruppo hanno contribuito a rilanciare quella zona appartata della Sicilia come brand di nicchia sempre più allargata. Ibleishire, lo chiama qualcuno, a sottolineare il numero crescente di proprietari e residenti giunti da fuori: case e terreni costano certo di più rispetto a dieci anni fa, ma sempre meno rispetto alla Toscana o al Veneto, anche se, nel frattempo, il paesaggio è sensibilmente mutato rispetto a quello fotografato per il libro di Sellerio: i teloni di plastica delle serre ondeggiano con i loro riflessi tra i muretti a secco, sulle coste si dirigono con maggiore frequenza i barconi che trasportano gli immigrati, e molti di loro lavorano, nascosti e in condizioni di schiavitù, alla raccolta dei pomodori che hanno rinnovato l' economia della regione. Non tutto è oro quello che riluce sotto il glamour. Gli storici lo diranno forse con maggiore contezza, ma paradossalmente quello che attrae del Ragusano è il suo aspetto contraddittorio rispetto agli stereotipi novecenteschi della sicilianità: non più la luce implacabile e bloccata ma una variazione umbratile di mezzi toni e di lunghe ombre meridiane, non più la drammaticità conflittuale del paesaggio ma un accordo smorzato, musicale, tra l' architettura e la natura circostante. E, attraverso questi motivi, una consonanza sorprendente con alcuni temi della cultura europea: non a caso Guccione riscopre e filtra la luce intorno a Scicli - quella di Punta Corvo, quella della spiaggia di Sampieri da cui dipinge le intensissime, infinite modulazioni di cielo e mare - attraverso l' opera del grande romantico tedesco Caspar David Friedrich; e non a caso Sarnari ha intitolato come omaggi a Monet e Pollock alcuni cicli pittorici dove, invece, la luce si dispone a grumi, a chiazze mobili e iridescenti che invadono a texture irregolari l' intera superficie della tela. Del resto, le facciate-torre delle chiese di Rosario Gagliardi che scandiscono le cittadine del Ragusano, le stesse che campeggiano come fondale in molte fiction televisive e che Giuseppe Colombo ha dipinto più volte come apparizioni notturne, approdano nella pratica architettonica dell' Isola attraverso stampe e disegni dall' Europa centrale, in particolare dalla Germania. Si farebbe un torto all' intelligenza figurativa di questi artisti leggendone l' opera in chiave di contrapposizione al panorama dominante della ricerca contemporanea, come pure è successo. Se non bastasse la presenza di alcuni elementi paesaggistici indiscutibilmente moderni (ponti, fanali, guardrail), l' uso di inquadrature decentrate o di meticolosa attenzione ai dettagli (gli interni di Sonia Alvarez o dello stesso Colombo) dicono di quello scambio con la fotografia che ha caratterizzato tanta parte della pittura dell' ultimo decennio. Un dosaggio calibratissimo, di smottamenti minimi ma continui fra tradizione e modernità per molti versi analogo a quello che si respira nei centri degli Iblei. Che siano queste le ragioni che hanno decretato il successo di questa parte di Sicilia?

 
 
 
   
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