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Le cinque tele di Antonino Manoli 8/02/2010 

Sul Manoli si possiedono poche notizie. In Provincia di Ragusa si conoscono cinque tele: due a Modica, due a Scicli ed una a Ispica immagini_articoli/1265619630_beato_guglielmo_scicli_san_ignazio.jpg   La Soprintendenza per i Beni Culturali della Provincia di Ragusa ha inserito tra le opere da restaurare per l’anno 2009 una tela di Antonino Manoli che si trova all’interno della Chiesa di Sant’Ignazio in San Matteo di Scicli.

L’occasione del restauro dell’opera ci permette di mettere a fuoco, per quanto possibile, l’attività di questo artista, ancora poco indagato e presente in area iblea nei primi decenni del Settecento.

Sul Manoli si possiedono poche notizie. In Provincia di Ragusa si conoscono cinque tele: due a Modica, due a Scicli ed una a Ispica.

Antonino Manoli, come emerso dalla ricognizione di documenti d’archivio, era originario di Noto e lo si trova residente a Modica già nel 1700 quando ottiene l’incarico, da parte dei sacerdoti Don Antonio Rendo e Don Pietro Ruffino, procuratori della Chiesa di San Giovanni Evangelista, di eseguire un quadro di grandi dimensioni (palmi 18 di altezza e palmi 12 di larghezza, corrispondenti a 4,40 metri di altezza per 3 di larghezza) raffigurante “ Maria Santissima della Concezione con la sua gloria e i misteri e di sotto San Filippo Neri e Santa Maria Maddalena”. Il prezzo pattuito è di 9 onze compresa un’onza che doveva servire per i colori e in particolar modo per l’oltremarino.

Il dipinto in oggetto non ci rimane. Il Manoli nel 1705 è presente a Scicli, insieme a Francesco Azzarelli, anch’egli di Noto, con l’incarico – da parte dei procuratori delle Chiese di San Bartolomeo e di Santa Maria La Nova – di allestire le scene necessarie alle rappresentazioni sacre in occasione delle festività di San Bartolomeo, il 24 agosto, e della Natività di Maria l’8 settembre.

Del 1707 è invece l’opera che si trova nel Monastero delle Benedettine di Modica raffigurante Santa Gertrude, Santa Scolastica, San Benedetto, San Placido e San Mauro.

Nel 1708 l’artista firma la tela con “San Francesco che intercede verso Dio per guarire gli ammalati e per ricevere altre grazie”.

San Francesco indossa una cotta e una stola e, inginocchiato, invoca la grazia con le braccia aperte e lo sguardo rivolto verso l’alto dove, su una nuvola, si trovano Cristo e Maria. A sinistra, a fianco al Santo, si trova un personaggio dai tratti orientali, riferimento all’attività missionaria svolta da Francesco Saverio nelle Indie orientali a cavallo tra le prima e la seconda metà del XVI secolo e che lo portò a Goa, a Taiwan, nelle Filippine ( così dice la bolla di canonizzazione del 1623), in Malaysia. Tra i numerosi personaggi che popolano la scena una donna che sorregge un moribondo. In primo piano, sulla destra, il cadavere di un bambino, un secondo cadavere con il corpo reclinato in avanti e, sul lato destro della composizione, altre donne in preghiera che implorano grazia. Il Santo è affiancato dal ritratto di un bambino inginocchiato ed elegantemente vestito. Al centro, tra il cielo e la terra, un angelo brandisce una spada di fuoco. Il paesaggio sullo sfondo rappresenta una marina nella quale si stagliano due barche a vela.

E’ firmata e datata 1710 (Antoninus Manoli P. AT 1710) la tela con Santa Elisabetta, Maria, San Giuseppe e San Gioacchino che si trova nel terzo altare di sinistra della Chiesa di Santa Maria del Gesù a Scicli. L’opera vede in posizione centrale e in primo piano Sant’Elisabetta assisa su una monumentale sedia con indosso una veste scura, un mantello di colore giallo e un fazzoletto bianco. La Santa tiene amorevolmente sulle gambe San Giovannino. Sulla destra Maria, che indossa una veste rossa, un mantello azzurro e ha il capo coperto da un fazzoletto bianco, cerca di coprire il Bambin Gesù con un drappo bianco, il suo sguardo è vigile e premuroso insieme.

Di spalle, sul lato sinistro dell’opera, il vecchio Gioacchino (veste azzurra e manto rosso) guarda verso il cielo mentre San Giuseppe (veste blu e mantello arancio) lo osserva. Una tenda verde chiude la scena da sinistra, in alto, su un cielo dorato, teste di putti alati emergono dalle nubi. In basso, al centro, è raffigurato uno scudo araldico (inquartato con braccio e spada, due torri, un albero, un leone rampante) che indica il donatore. L’opera rivela un buon pittore nell’impaginazione  e articolazione dei personaggi e delle vesti.

All’interno dell’opera che si trova nella Chiesa di Sant’Ignazio di Scicli, il Beato Guglielmo, patrono della città, è rappresentato in ginocchio su una nube. Indossa un saio e il mantello dell’ordine francescano al quale apparteneva. Il santo è circondato da cherubini e serafini. Sotto il Beato Guglielmo, nella parte bassa dell’opera,  è raffigurato un paesaggio della città di Scicli con i tre colli che la dominano: al centro il colle di San Matteo dove si trova l’omonima chiesa e il castello dei Tre Cantoni, a destra la colline dalle Croce con, a distanza extra moenia, il Convento dei Padri Cappuccini, a sinistra la collina del Rosario. Nell’angolo in basso a sinistra si sviluppa una scena autonoma in cui sono raffigurati il Beato Guglielmo e San Corrado Confalonieri venerato a Noto. I due sono inginocchiati sopra una nuvola mentre, in basso, un personaggio si avvicina ad una tavola imbandita. Si tratta probabilmente della raffigurazione di un miracolo compiuto dal beato Guglielmo. Era il Carnevale del 1350, San Corrado Confalonieri decise di far visita a Guglielmo. Pregarono a lungo insieme. Nel frattempo Guglielmo aveva ricevuto un invito a pranzo che declinò poiché aveva egli steso un ospite illustre. La persona che lo aveva invitato pensò allora di mandargli a casa un ragazzo con un buon piatto fumante. Il giovane vedendo i due in preghiera non volle disturbare e lasciò il piatto sul tavolo senza dire nulla. Alla fine della Quaresima il ragazzo ritornò per ritirare il piatto e rimase stupefatto nel vedere i due frati in preghiera nella stessa posizione in cui li aveva lasciati e il piatto sul tavolo ancora fumante.

L’opera è firmata e datata. Antonino Manoli 1721.

Per quanto concerne la tela appartenente alla Chiesa del Carmine di Ispica si tratta di un’opera firmata nel 1735 raffigurante l’Immacolata.

Maria è circondata a destra dal Padre, a sinistra dal Cristo mentre in alto, a chiudere la composizione, si trova la colomba dello Spirito Santo. Nella parte bassa della scena sono inginocchiati i quattro santi fondatori dell’ordine carmelitano: Elia che regge in una mano la spada infuocata, Sant’Alberto di Gerusalemme ai piedi del quale si trova una brocca, Sant’Alberto di Trapani con la croce arcivescovile e Sant’Angelo di Licata che regge un giglio. Un’opera, nel complesso, discreta nella resa dell’articolazione e dell’espressività dei personaggi. L’attività di Antonino Manoli che, allo stato attuale delle conoscenze, ci risulta dal 1700 al 1735 fa presupporre la realizzazione di molte altre opere che probabilmente gli debbono ancora essere attribuite oltre a quelle che, certamente, sono andate perdute. Un artista dunque che va approfondito e considerato con una attenzione maggiore nella storia della pittura siciliana del Settecento.

Autore Lucia Nifosì

Fonte: ragusanews
 

 
 
   
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