Venezia - Non posso negare di aver pensato in molte occasioni che per vedere alla Biennale di Venezia quello che avrei desiderato vedere sarebbe stato necessario curarla io stesso. E, in particolare, per evidenti ragioni, pensavo agli artisti italiani, ai tanti che ho conosciuto e a tutti quelli che non avrei mai visto alla Biennale. Ma mi sono guardato bene dal mostrare interesse per un incarico di questo genere nella perfetta convinzione che non mi sarebbe stato attribuito. Non ho quindi chiesto né al ministro per i Beni culturali, né tantomeno a Berlusconi, come ho letto su qualche giornale, di essere nominato direttore del Padiglione Italia della prossima Biennale. E tantomeno perché stufo di stare a Salemi. Anzi, se Salemi, prima capitale d’Italia, ha una posizione di privilegio e di primato nella ricorrenza del centocinquantesimo dell’unità d’Italia, realizzare una mostra di arte italiana nel 2011 costituisce la migliore opportunità per celebrare quella ricorrenza, stabilendo non una contraddizione fra due luoghi e due destini non cercati e non pensati: Salemi e Venezia.
La mia Biennale sarà dunque quella del centocinquantesimo dell’unità d’Italia, e dovrà esibire gli artisti che, con il loro valore, meglio illustrino il prestigio nell’arte della nostra nazione. Per un fastidio, probabilmente, e per il desiderio di una visione non prevedibile e non allineata, il ministro Bondi indicò per la precedente edizione i nomi di Luca Beatrice e di Beatrice Buscaroli. Con ciò esprimendo auspici che, in quanto realizzati (e come ogni cosa, soggetti alla critica) hanno determinato violente polemiche e maliziose insinuazioni. Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli hanno semplicemente espresso il loro gusto, senza pressioni di nessuno. E confesserò, oggi, che, nel momento della decisione di nominarli, Bondi mi chiese un parere, che io espressi favorevole. Sono dunque complice di quella decisione, ma non ho in alcun modo sollecitato questa.
Forse Bondi ha voluto alzare la posta e spingere ancora più avanti quella che ad alcuni sembrerà una provocazione e, al di là dei facili e prevedibili contrasti, già prevedo la prima riserva: ma Sgarbi è un esperto di arte antica, non si occupa di arte contemporanea, anzi la odia. Quante volte ho sentito queste affermazioni e quante volte ho pensato ad artisti superbi come Domenico Gnoli, Antonio López García, Werner Tubke, e anche a più giovani come Lino Frongia, Luigi Serafini, Giuseppe Du Croix, Luca Crocicchi sono alcuni nomi delle migliaia di cui mi sono occupato. E Carlo Guarienti, Gianfranco Ferroni, Piero Guccione, Gaetano Pompa. Contemporanei? No, dispersi. Ignorati. Rispetto a altri sempre visti, ovunque esposti, esaltati, necessari, onnipresenti. Ho immaginato allora che, per rappresentare una realtà plausibile, fosse opportuno procedere non con aut aut in una sterile contrapposizione (benché forse inevitabile), ma con un et et.
È contemporaneo chi è, chi è nel nostro tempo. E non si capisce perché, per ricordare una polemica di qualche anno fa, Buren deve essere più contemporaneo di Balthus. Se è soltanto una questione d’età, allora è indiscutibile che Serafini è più contemporaneo di Pistoletto. Ma è forse una questione di visione? C’è una visione più contemporanea di un’altra? Fino a che punto è contemporaneo Rauschenberg? E lo è più o meno di Fetting? Quesiti oziosi. Giacché, come è evidente, tutta l’Arte è Arte contemporanea. Il resto è classificazione, mercato, moda, sindacato, lobby, scuderie, squadre. Tentò di sparigliare tutto, alla Biennale del 1980, Luigi Carluccio, esponendo Balthus. Ci fu sconcerto, ma che dire? Che fare? Per antipatia personale e critica, eccepirono soltanto Zeri e Barilli, temperamenti oppositissimi. Ma la scelta di Carluccio riabilitò la pittura. Riaprì una partita che sembrava chiusa e con esiti durevoli. D’altra parte che dire di Francis Bacon e di Lucien Freud? Nessun critico d’avanguardia si è mai permesso di discutere Rothko, sublime mistico nichilista, ma Bacon lo trovava noioso, noiosissimo. E ancora: che cos’è l’Avanguardia? Ed è obbligatorio essere d’Avanguardia? Hopper era d’Avanguardia? Magritte era d’Avanguardia nella testa, ma non nella tela.
Insomma, oggi mi hanno nominato curatore del Padiglione Italia della Biennale di Venezia 2011. Non me lo aspettavo. Ma ne sono felice. A Venezia si mangia bene. Si incontrano persone curiose e persone distratte. Non ho mai incontrato nessuno a cui sia piaciuta una Biennale. Eppure ci vanno tutti. Quest’anno il Padiglione Italia è stato criticato in modo feroce, se possibile più di ogni altra volta. Eppure la Biennale e anche quel Padiglione non ha mai avuto tanti visitatori. Bisogna quindi sperare di farla particolarmente brutta perché sia molto vista. Proverò a farla bella perché non ci vada nessuno. Cosi continuerò a vedermi la Biennale che avrei sempre voluto vedere e che nessuno ha mai realizzato. E siccome tutta l’arte è arte contemporanea, non è escluso che, per non disturbare i miei critici e convenendo con il loro pregiudizio, io esponga un solo dipinto: il Cristo morto del Mantegna.
Fonte : Sciclinews