Modica porta ancora oggi i segni della grande alluvione che il 26 settembre del 1902 causò 112 vittime e ingenti danni. A ricordo di quella terribile notte la città conserva delle lapidi commemorative che indicano l’altezza raggiunta dal livello dell’acqua; ed un intero quartiere costruito grazie alla generosità di due città delle quali ancora oggi porta il nome.
È davvero ingente la bibliografia riguardante la tragica alluvione che colpì Modica il 26 settembre del 1902; non potendo accedere, per motivi logistici, a fonti dirette vogliamo fare un breve compendio di ciò che successe fra le quattro e le cinque di quel giorno d’autunno di 107 anni fa; di ciò che portò la Città della Contea sulle prime pagine di quotidiani nazionali (La Domenica del Corriere, La Stampa, Il Corriere della Sera, Il Secolo Illustrato, L’Ora, Il Sole del Mezzogiorno, La Tribuna Illustrata, La Sicilia e Il Giornale di Sicilia) ed internazionali (il Times Morning di Londra, L’Echo de Paris, il Berliner Tabeglatt di Berlino, il Sun e l’Evenign Post di New York, La Prensa di Buenos Aires, l’Universal di Bukarest). E lo faremo soprattutto grazie ad un libro di un modicano storico per passione, Giovanni Modica Scala che ha lasciato ai posteri “La Grande Alluvione del 1902” e grazie ai documenti raccolti in occasione del centenario dell’alluvione; nel 2002, infatti, l’amministrazione dell’epoca volle raccogliere in un’opera redatta da Grazia Dormiente tutte le testimonianze dell’epoca, sia letterarie che fotografiche.
L’antefatto risiede in due fattori concomitanti: una depressione barometrica sulla Tunisia e pressioni elevate nell’Europa Centrale che provocarono piogge torrenziali su tutta la Sicilia sud-orientale. Tra il mattino del 25 e il mattino del 26 settembre nella stazione pluviometrica di Giarratana, la più vicina a Modica, si registrarono 395 millimetri di pioggia.
Erano le 4.20 quando i corsi d’acqua cominciarono ad ingrossarsi e questo, considerando che all’epoca Modica era ancora attraversata da torrenti a cielo aperto, fu devastante.
Alle 4.30 i torrenti erano già straripati; alle 4.40 l’acqua arrivò al primo piano delle abitazioni collocate lungo i torrenti; alle 5.00 la piena era cessata, rimaneva solo tanto fango e tante vittime: 112 le persone che sorprese nel sonno annegarono; due i milioni di danni, il disastro fu immane.
Furono le cave che, attraversando l’abitato da nord a da est, si trasformarono in trappole mortali; quando la pioggia che cadeva incessantemente da diverse ore, infatti, non fu più contenuta dalle cave e gli argini della fiumara strariparono. I torrenti Pozzo dei Pruni, Ianni Mauro e Santa Liberante cominciarono a vomitare montagne di acqua; in particolare il primo, alimentato da un bacino di circa diciassette chilometri quadrati iniziò la sua folle corsa a sette chilometri dalla porte di Modica; via via che precipitava verso il fondo valle raccoglieva le acque in piena della cave che incontrava, piombando alle spalle della Chiesa di Santa Maria come una gigantesca palla di cannone.
La parete est della Chiesa, robustissima e di nuova costruzione servì quasi da guida all’acqua per scagliarsi contro il palazzo dirimpetto, che subì gravissimi danni; la Chiesa si riempì di acqua melmosa per un’altezza di tre metri e cinquanta. Nella sua folle avanzata, questa montagna d’acqua travolge, quasi divellendole le colonne del Ponte Pulera; allaga l’atrio comunale, stradica la balconata dell’Ufficio Postale. E’ in questo punto che le acque del Pozzo dei Pruni si incontrano con quelle del torrente Ianni Mauro: le tracce lasciate sul palazzo Grimaldi arrivano a cinque metri e novanta dal marciapiede che, a sua volta, si innalza di quattro metri dal fondo della cava.
La furia dei torrenti viene rallentata dall’attuale Piazza Matteotti, ma il pericolo non era ancora cessato: all’altezza del Ponte Stretto, le acque del Pozzo dei Pruni e dello Ianni Mauro si incontrano con quelle del Santa Liberante. Anche qui il rigurgito fa innalzare il livello della fiumara che si riversa nell’attuale via Vittorio Veneto dove raggiunge una larghezza di oltre venti metri, una velocità media di cinque metri al secondo e una portata complessiva di circa 750 metri cubi al secondo. Erano le 4.40 del mattino di quel 26 settembre 1902 che sarà anche l’ultimo per più di cento persone. In venti minuti di apocalisse.
La notizia di questa tragedia ebbe una vastissima eco sull’intera nazione che rimase attonita e commossa dinanzi ad una sciagura di tali dimensioni; ci fu una commovente gara di solidarietà cui parteciparono diverse città italiane che formarono dei comitati pro-Modica per raccogliere denaro, medicinali, biancheria e quant’altro potesse servire a chi aveva perduto tutto. Fu proprio questa catastrofe naturale a veicolare l’attenzione dell’opinione pubblica sullo stato di arretratezza e sulle assurde e primitive condizioni di vita di molti cittadini modicani.
Milano e Palermo, a tal proposito, strinsero un patto che portò al miracolo finanziario: nell’arco di un anno fu costruito un quartiere che prese il nome dalle due generose città; il venti aprile 1904 metà della popolazione modicana era presente all’inaugurazione del quartiere Milano-Palermo con sessanta appartamenti e un asilo. Le offerte volontarie ammontarono a ottocento mila lire e permisero un immediato sollievo per i più colpiti; soltanto in un secondo momento, come se la faccenda non lo riguardasse, intervenne lo Stato che stanziò sette mila lire, somma che permise la ricostruzione degli argini e la copertura definitiva degli alvei.
Modica non era più la Venezia del Sud, ma era più pulita e più sicura. In un periodo in cui cominciava a nascere il concetto di opinione pubblica e in cui si dibatteva la questione meridionale, la tragedia di Modica si presentò come un emblema e la solidarietà che arrivò da ogni parte d’Italia dimostrò quanto sentito era il concetto di Nazione, tanto da far esclamare al corrispondente del Corriere della Sera, Ottone Brentari: “E sia meno maledetta la sventura se essa servirà a farci amare e conoscere di più tra fratelli e fratelli!”
POST IT
L’altra grande catastrofe che si abbatté su Modica: il terremoto dell’ l1 gennaio del 1693
L'avventura del terremoto iniziò alle 3 e tre quarti della notte del 9 gennaio. Nella prima notte secondo gli scritti riportati dall'Abate Ferrara, i siciliani dormivano profondamente. La luna mutò il suo colore e dopo un'ora venne la prima grande scossa, annunciata da un fragore sotterraneo simile a un tuono rimbombante.
Il primo giorno del sisma registrò migliaia di vittime. Il terzo giorno, il fenomeno si rivelò nella sua dimensione più apocalittica. Si aprirono delle fratture nella terra, il mare si ritrasse e poi rifluì con le sue acque, gli animali vennero sbalzati dalla forza del sisma. Questa è la descrizione dell'evento così come viene riscritto secondo le testimonianze di allora, nelle cronache del tempo. Furono centinaia di migliaia i morti in tutta la Sicilia Sud-orientale: a Modica, su 18203 abitanti, ne morirono 3400.
POST IT 2
Salvatore Quasimodo evoca la Sicilia della sua infanzia facendo riaffiorare in una lirica la memoria inconscia dell’alluvione
Cavalli di luna e di vulcani
Isole che ho abitato
verdi su mari immobili
D’alghe arse, di fossili marini
e spiagge ove corrono in amore
cavalli di luna e di vulcani.
Nel tempo delle frane
le foglie, le gru assalgono l'aria:
in lume d'alluvione splendono
cieli densi aperti agli stellati;
le colombe volano
dalle spalle nude dei fanciulli.
Qui finita è la terra:
con fatica e con sangue
mi faccio una prigione.
Per te dovrò gettarmi
ai piedi dei potenti,
addolcire il mio cuore di predone.
Ma cacciato dagli uomini,
nel fulmine di luce ancora giaccio
infante a mani aperte,
a rive d’alberi e fiumi:
ivi la latomia d’arancio greco
feconda per gli imenei dei numi.
http://www.ilgiornalediragusa.it/dossier-top/8415-alluvione-del-1902-i-venti-minuti-che-distrussero-la-venezia-del-sud.html