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I fiumi degli iblei: dal Dirillo all’Ippari, dal Tellaro all’Irminio 

Un viaggio attraverso un territorio nuovo e insolito da dove lo sguardo può spaziare su luoghi lontani fino a fermarsi all’orizzonte sulla lunga catena degli iblei, quasi ad indicarci l’antico cammino dal mare ad Acre, a Casmene a Camarina

All’estremità sud orientale della Sicilia è situato l’altopiano ibleo di cui fa parte la provincia di Ragusa. Il territorio è caratterizzato da un insieme di fattori paesaggistici, naturalistici, archeologici e storici spesso poco conosciuti. La campagna, dolce ed aspra insieme, con le sue fertili zone pianeggianti che degradano dolcemente verso coste basse ed uniformi, con la sua ragnatela di bianchi muretti a secco che delimitano i campi e si perdono fra le dune sabbiose , le scogliere dal mare cristallino, fa di questo territorio un contesto unico ed irripetibile.
La nostra proposta di itinerario in questa occasione riguarda i fiumi iblei.
La via d’acqua per il territorio ibleo non è stata solo causa di storia, ma fonte di risorse particolari che
si sono protratte per secoli, se non per millenni.
Il corso dei fiumi ha rappresentato nell’antichità per questi luoghi, il veicolo e la traiettoria più rapida per collegare i territori interni con la costa, da sempre luogo dove avvenivano gli scambi commerciali.
Il nostro viaggio non agevole e lento, non è consigliabile a chi ha fretta o ama muoversi con grandi gruppi per essere “depositato” ora in un sito ora in un altro.
La nostra sarà una lenta marcia di avvicinamento attraverso paesaggi nuovi e diversi, in gran parte ignoti; un ricostruire un pezzo della storia degli iblei  per effettuare una visita riuscendo a cogliere anzitutto l’insieme: l’ambiente rurale e quello paesaggistico, offerti al nostro sguardo come un unico e grande fondale.
In provincia di Ragusa non vi sono fiumi di grande portata, ma solo “cave” a carattere torrentizio. A essere definiti fiumi sono soltanto il Dirillo,  l’Ippari, l’Irminio ed il Tellaro.
Oggi è difficile immaginare quale fosse la loro portata nell’antichità, ma sicuramente doveva essere più abbondante dell’attuale e in alcuni casi consentiva una certa navigabilità.
I corsi di questi fiumi affascinano i visitatori ed anche i residenti per il patrimonio naturalistico in essi presente, ricco di specie vegetali ed animali; per le attrattive paesaggistiche, con i siti archeologici e i parchi forestali; per gli intricati e difficili percorsi tra alti dirupi, forre e fitta vegetazione spontanea.


Il Dirillo nasce dai monti Iblei, dai piedi del Monte Lauro, in territorio di Vizzini, e sfocia nella zona dei Macconi nei pressi di Acate. Il suo corso, lungo 54 chilometri, assume denominazioni diverse sulla base dei territori attraversati (Vizzini, Ragoleto, Dirillo, Mazzarrone, Acate). Nel territorio di Licodia Eubea forma il lago Dirillo.
In epoca romana fu chiamato Achates per la presenza della pietra agata, in epoca araba assunse il
nome di Wadi Ikrilu (fiume delle Acrille).
In territorio di Acate sorse il Casale di Odogrillo o Dirillo di cui rimane solo un grande muro, mentre nel territorio di Chiaramonte Gulfi, sulla riva sinistra del fiume, scavi archeologici hanno riportato alla
luce in contrada Scornavacche un abitato ellenistico.
Negli anni ’50, nel territorio di Licodia Eubea, dall’Anic fu realizzato uno sbarramento per la creazione di un invaso artificiale a servizio del petrolchimico di Gela.
 Nel tratto in cui il fiume attraversa la provincia di Ragusa, è possibile rinvenire tratti di bosco con querce da sughero, pioppi, frassini, lentischi e querce spinose.
In passato il fiume attraversava ,nell’area della foce, una zona pantanosa che oltre alla vegetazione di particolare interesse ospitava l’avifauna migratoria, stormi di anatidi e di altri uccelli di passa. Il paesaggio oggi è rappresentato da estese coltivazioni in serra, che sebbene abbiano consentito agli agricoltori un periodo di benessere economico hanno “sacrificato” ambienti unici per la flora e la fauna.

Il fiume Ippari con la sua vallata si trova a pochi chilometri in linea d’aria dalla zona di Macconi, dune di sabbia finissima ormai scomparse. Questo fiume è lungo 28 chilometri ed ha origine dal Monte Serra di Burgio a circa 800 m s.l.m., passa sotto Chiaramonte Gulfi, costeggia Comiso e Vittoria e sfocia nel Mar
Mediterraneo tra Scoglitti e Punta Braccetto ai piedi dell’antica Kamarina. Il suo nome risale al periodo greco e sembra derivi dalla leggenda del pastorello Ippari innamorato della ninfa Camerina, citazione contenuta nell’opera  “Olimpia” del poeta Pindaro V secolo a.C.
Nella vallata è stata istituita dalla Regione Siciliana la Riserva Naturale “Pino d’Aleppo” con
un’estensione di circa 3000 ha e ricadente nei territori comunali di Vittoria, Comiso e Ragusa.
Dal punto di vista della vegetazione i Pini d’Aleppo rappresentano l’aspetto più interessante della Valle,insieme al sottobosco, che varia in funzione del suolo presente. Accanto  ai pini, di cui si ipotizzano origini autoctone, si rinvengono il leccio, gli olivastri e i carrubi.
Le piante presenti nei vari biotopi sono di numerosissime specie.  Ne sono state censite ben 700 di cui
alcune rappresentano novità biologiche. Interessantissima la presenza di varie specie di orchidee.
La fauna presente è varia, sono state censite ben 400 specie diverse e tra queste un ruolo di primaria importanza hanno gli uccelli sia stanziali che migratori provenienti dalla vicina Africa. Fin dall’antichità il territorio localizzato lungo la valle dell’Ippari fu utilizzato per le attività agricole, grazie all’abbondante presenza di acqua.
La portata del fiume Ippari, oggi molto ridotta, sembra essere stata invece notevole nell’antichità in quanto la zona ricca di boschi e d’acqua risulta ricca di insediamenti abitativi. Lungo il suo corso furono costruiti numerosi mulini ad acqua. Numerose sono le contrade attraversate da questo corso d’acqua: Martorina, Mendolilli e Cappellaris, Culobria in territorio di Vittoria; Castelluccio, Musenna, Buffa e Tremolazza  più vicini a Ragusa.
In passato, verso la foce, l’area era acquitrinosa e formava un bacino lacustre naturale chiamato lago di Camarina spesso paludoso per la poca profondità ,  oggi prosciugato.

Il fiume Tellaro anticamente chiamato Eloro nasce alle pendici del monte Petritto, zona Monte Lauro, e nel tratto ragusano riceve le acque dei torrenti Muscia, Montesano, Gisira e del Tellesimo.
Il fiume si inoltra nell’ampia vallata dominata dai contrafforti di Palazzolo Acreide e dopo un percorso di 45 chilometri sfocia all’imbocco della Val di Noto, nel Mare Ionio nei pressi di Eloro, antica colonia greca.
La vallata del Tellaro un tempo aveva una folta vegetazione costituita da ombrose selve di querce che si estendevano fino alla vicina valle dell’Anapo.
Oggi restano solo degli esemplari sparsi di roverella o cerro in zone spesso non accessibili.
Quasi sconosciuto ai ragusani questo fiume, incassato in un letto di argilla fangosa, segna il confine con
Siracusa e delimita le  contrade di San Giacomo, Montesano e Albarcara.
Durante i mesi invernali, un tempo, chi abitava oltre il Tellaro, tra Falabia, Ciurca e Benesiti restava imprigionato dal fango e dalla piena del fiume, privo di ponti e di guadi attraversabili con carri. I primi che riuscivano a raggiungere il Borgo di San Giacomo, annunciavano la primavera. Questi spazi sono stati acquisiti al territorio ragusano negli anni ’40, sottratti al vastissimo agro di Noto ed in parte di Rosolini. Oggi in essi sono presenti numerosi insediamenti agricoli modicani.
Ariosa e ridente è la zona di Montesano, nella cui valle si stende una vasta e fertile piana alluvionale e la selvaggia Albarcara,  fitta di lentischi, cerri, olivastri e carrubi che qui crescono maestosi e lussureggianti. Queste contrade con tante colline che si adagiano al Tellaro per risalire rapide da un 
versante all’altro hanno un particolare fascino ed appaiono nuovi ed insoliti. Da esse lo sguardo può spaziare su ampi contesti che sfumano lontani fino a fermarsi all’orizzonte sulla lunga catena degli Iblei.
La valle del fiume è ampia e rigogliosa e i pendii delle colline soprastanti sono prevalentemente uniformi interrotti solo dai solchi di deflusso delle acque dove si addensa la vegetazione riparia.
Le acque del fiume inizialmente limpide e chiare diventano limacciose e verdastre nell’ultimo tratto per la presenza di vegetazione in decomposizione. L’area della foce è sede di importanti resti archeologici, non del tutto riportati alla luce. A sud della foce si trova, in provincia di Siracusa, l’oasi naturalistica di Vendicari.
Confluisce nel fiume Tellaro il Tellesimo, fiume che lungo tutto il suo corso corre all’interno di un paesaggio molto suggestivo scavato in gran parte nella roccia calcarea  ricoperta da una ricca vegetazione.
La Cava del Tellesimo si è originata, come tutte le cave del comprensorio ibleo, da una frattura su cui l’erosione millenaria delle acque ha operato una profonda incisione.
La cava inizia dalla c.da Bellocozzo e termina dopo un corso di circa 15 chilometri in contrada Taverna. Il torrente con la sua forte azione erosiva ha creato numerose marmitte e conche chiamate
“urve”. Nella parte iniziale della cava le formazioni rocciose delle pareti, prevalentemente verticali, presentano una vegetazione povera, mentre sul fondo delle gole il suolo residuo accoglie una folta
vegetazione fatta di carrubi selvatici, corbezzoli, ligustri e fichi selvatici. E’ possibile rinvenire numerose piante aromatiche quali timo, nepitella, mentuccia, origano.
Ai piedi dei dirupi e lungo le ripe del torrente trovasi platani, salici, frassini, bagolari, nonché vegetazione da sottobosco come rovi ed edere.
Di rilevante interesse risulta anche l’ambiente fisico della valle, per via delle rette gole e dei molteplici
insediamenti rupestri. Nella Cava dei Servi vi sono diverse tombe scavate nelle pareti rocciose appartenenti all’età di Pantalica I (XII-XI sec). Nelle acque del Tellesimo vive la trota macrostigma un endemismo ibleo che sopravvive al rischio di ibridazione con altre specie, oltre alle anguille, alla tinca e
ai vari anfibi (rana, raganella). Sono presenti rettili (tartarughe, greco, ramarro, biscia ) e tra i mammiferi la martora, il coniglio, il riccio e la donnola.
L’assessorato regionale al territorio e ambiente ha iniziato l’iter per verificare la fattibilità per l’istituzione della Riserva orientata “Valle del fiume Tellesimo”.

LIrminio , un fiume e un  nome presago di storia e di eventi, via d’acqua e di penetrazione, annunciatore di civiltà come fa ben intendere il nome, eco di Hermes, messaggero divino.
Nasce dalle pendici del Monte Lauro, presso Giarratana, e il suo corso a carattere quasi torrentizio si sviluppa lungo la provincia di Ragusa ed in particolare fra Ragusa e Modica, per 55 chilometri. Sfocia nel Mare Mediterraneo in località Torre Giardinelli tra Marina di Ragusa e Donnalucata dopo aver creato lungo il suo percorso, grazie ad una diga artificiale realizzata negli anni ’70 (la diga di santa Rosolia) un piccolo bacino lacustre artificiale.
Questo fiume in passato doveva essere caratterizzato da una maggiore copiosità delle acque che lo rendevano navigabile, probabilmente con barconi a fondo piatto fino all’antica Ceratanum (l’odierna Giarratana). A conferma dell’intensa attività  presente nell’area  fin dai tempi preistorici sono state rinvenute varie testimonianze, quali il sito preistorico del paleolitico superiore di Fontana Nuova costituito da un ampio riparo sotto roccia, simile alla cavea di un teatro ove furono rinvenuti manufatti
che testimoniano la remota presenza umana nell’isola; la Fattoria delle Api , antico centro di lavorazione del miele, quello ibleo di “satra” ovvero di timo, celebre in tutto il Mediterraneo e cantato dai poeti dell’antichità; il sito Greco arcaico del Maestro. Anche la morfologia della foce doveva essere ben diversa dall’attuale. Risulta che essa è stata utilizzata come porto canale del periodo greco arcaico fino all’alto Medioevo. Dotato di banchine di caricamento a spine di pesce ove potevano attraccare verosimilmente navi onerarie, questo porto trovava giustificazione per la presenza del centro abitato di contrada Maestro, sicuramente luogo di raccolta e di smercio dei prodotti agro pastorali iblei. Le ceramica e le strutture abitative di questo insediamento ne dimostrano un’intensa attività. Percorrendo il corso, contro corrente, sono numerose le testimonianze dell’epoca castellucciana, ossia del bronzo antico( 2200-1600 a.C.) e di quella paleocristiana  (sesto, quarto secolo d.C.), con ipogei catacombali talora di notevoli dimensioni (contrada Ciluonia). Noto sito è quello di Castelluccio, sulla riva sinistra, e poi Cafeo  ove è stata ritrovata la statuina bronzea che rappresenta Ercole coperto
dalla leontè (mantello ricavato con la pelle del leone nemeo) e Capra d’Oro ,dominante col suo sperone un ampio tratto della valle, ricca di insediamenti e necropoli . E poi la mitica Ibla, roccaforte
dei siculi, e quindi Cava Misericordia  con numerosi mulini ad acqua. Spesso si incontrano sacelli e croci incise, tombe a forno scavate nelle pareti rocciose. In contrada Terravecchia ,altro sito dell’attuale Giarratana, sorgevano delle ville fattorie deputate allo sfruttamento del territorio. Il grano prodotto nel territorio ibleo era convogliato presso tali fattorie e su chiatte ,predisposte per la navigazione fluviale ,verosimilmente ridiscendeva la corrente fino al porto canale dove le navi onerarie romane lo aspettavano per lo stivaggio. Quindi partivano per Roma in direzione di Ostia. Cicerone nelle Verrinae tratta ampiamente di questo sfruttamento dell’area iblea. Calaforno, un sito non lontano da Giarratana,  costituito da un sistema di oltre trenta ambienti scavati nella dura roccia ci richiama,invece, a collegamenti con il mondo maltese.
Il fiume oggi ha perso gran parte della sua vitalità, é solo un rigagnolo.  L’invaso di Santa Rosolia e
lo sfruttamento a cui è sottoposto per uso irriguo lo hanno impoverito tanto da rischiare la sua stessa esistenza. La sua foce, soggetta ad un lento ed inesorabile insabbiamento, ha subito una sostanziale modifica morfologica con la formazione dunale su cui si è
insediata l’attuale caratteristica vegetazione. Al termine di questo cordone la costa si innalza con piccole falesie a pareti verticali. In questi luoghi si è impiantata la caratteristica vegetazione a “Macchia Foresta” che dal 1981 è stata protetta con l’istituzione da parte della Regione siciliana della Riserva Naturale Speciale Biologica “Macchia Foresta del fiume Irminio”. Si tratta di un’area caratterizzata da diversi e quasi
contrastanti ambienti che contribuiscono alla formazione di un ecosistema particolarmente fragile e delicato tra due centri abitati a vocazione turistica: Donnalucata e Marina di Ragusa. L’area protetta è fruibile e le visite sono consentite lungo i sentieri predisposti. E’presente un Centro visite allocato nel Casale che ospita un piccolo Museo naturalistico.
In questa riserva, osservando la vegetazione  a partire dalla battigia e fino all’inizio delle prime dune, sono presenti piante quali la Salsoia, la Calcatreppola,  specie capaci di colonizzare ambienti estremi come le spiagge sabbiose. Sulle dune  è rintracciabile il Ravastrello comune e il Giglio di mare.
Sulle dune consolidate trovasi il Ginepro   coccolone   in conformazione bassa o prostrata, spesso
frammisto all’efedra fragile. In zone più arretrate si trovano il Lentisco e la Spina santa insulare, il Thè siciliano, l’asparago, la brionia, l’artemisa. Nel retroduna è possibile trovare il Fiordaliso delle spiagge e l’Ononide. Vicino alla foce la vegetazione è tipica delle aree paludose. Si trovano il giungo pungente, le tamerici, la cannuccia da palude. In presenza di costa alta si rinvengono la palma nana e il timo arbustivo.
Relativamente alla fauna sono gli uccelli, soprattutto migratori provenienti dall’Africa, ad attirare l’attenzione. Si rifocillano e si riposano in quest’area il Martin pescatore, l’Airone cinerino, il
Cormorano, la Garzetta, la Marzaiola, la Gallinella d’acqua ,la Folaga, il Gruccione etc.
Sono presenti interessanti rettili quali il Colubro leopardiano,il Blacco, la Biscia d’acqua, il ramarro e tra gli anfibi la rana verde ed il rospo. Tra i mammiferi si rinvengono volpi,conigli e donnole.
Un paradiso incontaminato che vale la pena vedere. Numerose,infatti, sono le scolaresche ed i gruppi organizzati che visitano la riserva per conoscere i peculiari aspetti naturalistici dell’area.

E se, infine, vuoi avere un quadro di insieme, lasciata la contrada di San Giacomo, fermati al primo tornante del “Pennino” e da questo Belvedere  si ha una visione unica e magica. Da lì è possibile abbracciare il tutto: la spendida Ibla, giardino di pietra, in tutta la sua magnificenza tra la suggestiva
vallata del San Leonardo e  il torrente Puzzo; i valloni del Ciaramiti, del Mastratto, profondi e selvaggi; e a sinistra le colline degradanti da San Cono a Capra d’oro e sotto l’Irminio ,  con  i suoi rari platani orientali, scorrere solenne e lento fin sotto al Girgentano e alle antiche miniere di asfalto di Castelluccio.
Il nostro viaggio è terminato.

Questi luoghi rappresentano un appuntamento irrinunciabile per turisti e locali, attratti non solo  dalle attrattive paesaggistiche ma anche dai  rinomati siti agrituristici presenti, dalle  sagre paesane
con l’offerta  di produzioni agroalimentari
 
 
   
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