Una cucina che coniuga passato e futuro
Itinerari del gusto
Raccontare la cucina popolare iblea in occasione del Santo Natale rappresenta un recupero della memoria e una riscoperta di noi stessi. Le tradizioni del nostro popolo, unite alla storia locale, sonoriappropriazione di un patrimonio unico e collettivo, indispensabile alla identificazione culturale di sé e della gente a cui si appartiene. Non c’ è festa che si rispetti che non abbia un tangibile e perché no succulento riscontro nella buona cucina. Gusti semplici, quelli della tradizione natalizia iblea che sanno di ricordi, di sorrisi e di intensi odori di campagna. L’arte della cucina contadina riconduce agli antichi sapori in cui le materie prime , spesso le più povere, venivano lavorate per rispettarne ed esaltarne la genuinità.
A Natale nelle masserie degli iblei ci si preparava a macellare il maiale, animale che accudito e governato per lunghi mesi , garantiva l’intera economia alimentare della famiglia per l’intero anno.
In occasione della macellazione che avveniva a ridosso della festa venivano coinvolti parenti e vicini di casa e tutti si procedeva a preparare, gelatina, salsiccia, “frittili”, salame, e finanche dei “sancieli”, sanguinacci. Con il grasso si preparava la sugna. Si tagliavano le parti grasse, non utilizzabili per la salatura o per la salsiccia, in tocchetti, “zunzi”, e si ponevano in un calderone con acqua salata. Si cuocevano, facendone venir fuori il grasso, che, raccolto con il mestolo, veniva depositato in appositi contenitori e una volta raffreddato veniva conservato per tutto il periodo invernale. All’occasione veniva utilizzato per le più svariate pietanze, in sostituzione del burro o della margarina che ancora mancavano. I pezzetti residui di carne, non del tutto privi di grasso, venivano conditi con semi di finocchio e si conservavano per fare in seguito frittate con olive, i “frittili”. Lo strutto era anche ingrediente principe per preparare le costate di maiale, la sera di Natale, e una particolare ricetta natalizia di bellissima composizione “u sfuogghiu”: un carciofo di pasta, preparata con farina, uova,lievito, sugna e sale, farcito di ricotta. Il giorno seguente la macellazione veniva dedicato a “pizziari u maiali” dividerlo in parti. Un’intera stanza veniva adibita all’uopo: c’era “u cippu”, per rompervi sopra le ossa dell’animale, una volta ripulite della carne; “i stipa “ per la salatura del lardo;“a maidda” per mettere la carne tagliata a fette da macinare; a “buffetta” su cui agganciare la macchina per tritare la carne; il peperoncino rosso o i “biezzi” ,pepe nero, con i semi di finocchio selvatico ed il sale per preparare la salsiccia. Il lardo, dello spessore di tre dita oltre la cotenna si tagliava a riquadri, “taffuna” di 15 centimetri per lato, a loro volta incisi per favorire la salatura. Se soffiava il vento secco di tramontana la salsiccia sarebbe riuscita di ottima qualità. Con la carne tagliata con la “mannaredda”, un coltello a mezzaluna, si otteneva “u capuliatu”, carne e grasso tagliati a tocchetti piccoli, ideali per salami a grana grossa, i “suppissati”. La salsiccia veniva preparata con tre parti di carne rossa e una di grasso, con peperoncino, sale e una buona manciata di semi di finocchio selvatico. Per le carni macellate da più giorni, quindi più asciutte, per favorirne l’amalgama ,si aggiungeva un po’ di buon vino. Del maiale non veniva assolutamente buttato nulla. Tutte le parti, anche quelle cosiddette di scarto, si utilizzavano per un qualcosa. Le frattaglie venivano divise in porzioni e distribuite ai parenti che a loro volta ricambiavano. Con la cotenna, i piedini e la testa del maiale ben lessati e coperti del loro brodo, aromatizzato con foglie di alloro, pepe nero, aceto e succo di limone ,veniva preparata la gelatina. Le lunghe setole erano utili al calzolaio per infilare lo spago nella lesina e riparare le scarpe. Ancora oggi negli iblei ritornano a tavola sapori e profumi del tempo passato, caratterizzati anche dalla presenza di componenti del maiale.
Il pranzo di Natale , secondo la tradizione culinaria iblea, prevede ancora le classiche verdure, broccoli e spinaci, preparate secondo ricette che variano da città a città. Si creano pastiere e “scacce”, accompagnati da uvetta, noci, olive nere, lardo salato. Sulla tavola natalizia non possono mancare ricotta e salsiccia che formano i “sfuogghi “a Ragusa, a “nfighiulata” a Chiaramonte, i “tomasini” a Modica. Non può mancare ancora il baccalà, lessato in insalata per un gusto più delicato o fritto in pastella
A Modica ,in particolare ,si è soliti preparare ravioli di ricotta con stufato di maiale e cacio cavallo, carne e cotenna di maiale al sugo. C’è chi prepara ancora in casa, per cucinarli nel tipico forno di pietra,focacce con prezzemolo, cipolle e pomodoro, “pastizzi” di cavolfiore o di “patacche”, e i tipici mustazzoli, dolce realizzato con farina, miele, mandorle abbrustolite, sale e buccia di arancia.
A Ragusa oltre al già citato “sfuogghiu”, ricetta natalizia di bellissima composizione,la cui pasta preparata con farina, uova, lievito, sugna e sale viene farcita di ricotta con pezzetti di salsiccia, vanno ricordati i “feddi”, fette di pane raffermo, appena bagnate fritte nel grasso ,“a saime”, fino alla loro doratura. Non si dimenticano i tipici dolci di Ragusa “a’mpagnuccata”,palline di pasta ottenute da uova, farina di grano duro e zucchero, bagnate nel miele e servite su foglie di limone o i “mucatoli”, di noce e miele.
Per gli abitanti di Ispica , ancora oggi, non è Natale senza “caittu” e senza “mpanata”, legati alla presenza di due ingredienti:miliddi e baccalà.
Il “caittu”,per consumarlo una sola persona, o “o caittieddu”,per più persone, è un’”mpanata” con dentro baccalà, tagliato a pezzi, condito con cipolle e patate novelle o con" patacche", chiamate anche “patate di Messina” . La cena del Natale ispicese, in quanto a tradizioni, è legata anche a “mpanata che miliddi”. I “miliddi” sono spaghetti, fatti in casa, con il frumento locale e arrotondati in maniera rozza e non uniforme. Vengono conditi con sugo e broccoli e cotti al forno, rigorosamente a legna, dentro “a mpanata”.Non deve mai mancare il vino fatto in casa chiamato “u vintiquatturi”.In molte famiglie senza queste prelibatezze non c’è aria natalizia.
A Giarratana, Monterosso Almo e Chiaramonte Gulfi, paesi montani, il piatto principe delle festività natalizie è il sugo di maiale, il cui odore, tra le stradine, spesso immerse nella nebbia, al freddo pungente di un’aria balsamica, conquista le narici. Denso, saporito, d’un rosso d’altri tempi, vivo e persistente come lo “strattu”, l’estratto di pomodoro, con questo incrediente viene cucinato in casa. Si è nella bella stagione, quando, in campagna, grossi recipienti posti sul fuoco rigurgitano fumanti di pomodori. La salsa ,abbastanza densa, si fa raffreddare bene e si sistema in piatti di terracotta che vengono esposti al sole. Quando è tutto ben essiccato “lo strattu” ottenuto si conserva in barattoli di vetro con un po’ d’olio e di basilico. E’ con questo estratto che a Natale si prepara il sugo di maiale insieme all’acqua tiepida, alla cipolla, al pepe rosso e a un bicchiere di vino. La pasta che si accompagna è anche qui fatta di ravioli e cavati ma c’è chi ancora realizza i “cauzinenna”, pasta alle uova impastata a mano con i “usa”, gli steli delle spighe dell’orzo che si attorcigliano nel pettine del telaio.
A Chiaramonte non può mancare sulla tavola natalizia la gelatina di maiale che per il suo sapore e la sua leggerezza non somiglia a nessuna altra. A Giarratana si consuma la cotognata, marmellata realizzata con le mele cotogne, e il torrone bianco, ottenuto dall’impasto di mandorle, cotte nel forno a pietra, e di miele di timo ibleo. A Monterosso si mangiano le crispelle, preparate con miele, riso, farina, lievito, zucchero, arance, latte e cannella e i “marmarati” biscotti di mandorle con farina. Sulle tavole imbandite, oltre al vino locale, fanno sfoggio bellissimi pani natalizi, di casa, a forma di pigne, stelle di Natale o campanelle decorate.
E , infine, a Pozzallo sullo sfondo di un paesaggio meravigliosamente suggestivo, il piatto tipico per accogliere la più grande festa dell’anno, il Natale, è quello realizzato con polipetti di scoglio. Piatto dal sapore forte e deciso preparato oltre che con i polipetti di scoglio, con peperoncino, olio d’oliva, sale, prezzemolo, e oggi arricchito ,rispetto alla tradizione, di rucola fresca e u ciliegino di Pachino. Un piatto semplice , della cucina povera locale, inventato dalla gente di mare e sempre presente nei grandi banchetti.
Se è vero che la cucina esprime in maniera immediata il rapporto fra uomo e natura, è vero anche che questo rapporto è in qualche modo legato alle condizioni di vita del territorio. La cucina iblea rappresenta la sintesi perfetta della complessità della sua gente, ma soprattutto racchiude l’uomo in tutti i suoi aspetti fondamentali: la sopravvivenza, la classe di appartenenza, le mode, l’assorbimento delle usanze dei popoli dominatori che negli anni, purtoppo,in questi territori si sono susseguiti.