La professionalità e le competenze del docente in Italia
In queste settimane al centro del dibattito un posto di grande rilievo lo sta occupando la questione legata alla qualità del nostro sistema di istruzione sia ai livelli elementari, medi e superiori , sia ai livelli universitari, e con essa la collegata questione della meritocrazia o comunque del primato del merito nelle selezioni e nell’accesso ai posti di responsabilità sia di natura pubblica, sia di natura privata, che istituzionale. Inutile negare che così come la politica promuove un di battito in tal senso allo stesso modo lo ostacola, concentrata com’è nella occupazione propria o impropria, di spazi non certo in funzione del merito nel senso stretto del termine, quanto di altro genere di meriti, che con la meritocrazia hanno poco a che spartire. Emblematico in tal senso l’esordio del neo ministro alla Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, il 10 giugno in Parlamento quando ha illustrato il proprio programma sulla scuola. Non ha riferito né sul riordino dell’Università, né sulla riforma della scuola e neanche sulla riprogrammazione della ricerca. Il suo è stato un approccio di circostanza e di furbizia, perché ha blandito gli insegnanti parlando di uno dei due aspetti che li riguardano: lo stipendio. Ha sottolineato che lo stipendio medio di un insegnante è di 27 mila euro all’anno, mentre la media europea è di poco meno di 40 mila. Vero. Ma non è possibile parlare di una faccia del problema se non ci si collega all’altra che è quella del merito, della professionalità e delle competenze. Da anni non si fanno più concorsi nella scuola, mentre via via gli insegnanti sono stati immessi nei ruoli in violazione dell’art. 97 della Costituzione che prevede i pubblici concorsi. I diversi ministri che si sono succeduti in questi ultimi venti anni hanno consentito a tante persone di diventare insegnanti senza sottoporsi alla selezione di un pubblico concorso. Un metodo questo che ha contribuito a “sfasciare” la scuola perché al suo interno molti degli insegnanti non dispongono della formazione, della professionalità e delle competenze per questo così delicato compito a discapito di un sempre più piccolo gruppo di bravissimi e di impegnati, seppur frustrati dal constatare che alla fine del mese ricevono lo stesso stipendio liquidato ad “incapaci”, “fannulloni” e “super tutelati”. In tutta Europa gli insegnanti vengono selezionati con concorso pubblico ed iscritti in un apposito albo, cui possono attingere le scuole pubbliche e private. Perché poi scuola pubblica e privata stiano in sana competizione occorre che entrambe attingano all’albo degli insegnanti che hanno superato il concorso vietando sia all’una che all’altra di far ricorso a precari non opportunamente selezionati e formati. E nonostante i buoni propositi per il prossimo anno scolastico si prevede di assumere in Italia 25.000 docenti e 7.000 amministrativi, tecnici ed ausiliari precari. Ma cosa fare per uscire dal livello delle chiacchiere per entrare in quello delle proposte concrete? Occorre dissociarsi dal coro del conformismo e dell’opportunismo da parte di chi opera nel settore, presidi o dirigenti scolastici- che dir si voglia- compresi ,messi lì per garantire, in maniera velleitaria, efficacia, efficienza e qualità del sistema scuola. Non serve un grande intuito. Se il merito torna al centro delle intenzioni e delle scelte tutto deve ruotare attorno a questo e ad un altro principio: la libertà di scelta. Al merito, infatti, deve essere collegata la possibilità che ciascuno (alunno, paziente, utente) scelga il meglio, a scuola, in ospedale, nel posto di lavoro. Dunque merito e libertà di scelta vuol dire costruire una società in cui chi esprime l’eccellenza abbia maggiori possibilità e attenzioni degli altri. Così come i migliori devono essere maggiormente tutelati rispetto alle loro condizioni economiche. Ben vengano, quindi, i “buoni scuola “ed i “buoni salute” spendibili negli Istituti scolastici e negli Ospedali qualificati e più credibili; ben vengano le valutazioni di insegnanti,scuole, medici, ospedali, docenti universitari, e basta con le tutele di casta, anche, perché purtroppo quella politica non è la sola e non è scontato che sia in assoluto la peggiore. E’ quella, però, che decide, è quella a cui , comunque, spetta il compito di cambiare e di non ripetere gli errori del passato. Non riuscire in questo intento non significherebbe solo tradire le aspettative dei giovani, a cui maggioranza ed opposizione continuano a strizzare l’occhio, significherebbe anche condannare l’Italia ad un sistema sociale votato al peggio, anzi al peggio senza fine dato che i peggiori sceglierebbero sempre peggio per sentirsi i migliori senza esserlo. Avremmo, così facendo, un Paese incapace di competere con i Paesi all’avanguardia e con quelli ad economia ad espansione che il problema del merito se lo sono già posti e si sono avviati a risolverlo. Tutto ciò non è velleitarismo, ne qualunquismo e neanche allarmismo è sano realismo non disgiunto dal senso di lungimiranza che deve accompagnare ogni scelta politica ed atto amministrativo degno di tale nome.. Che fare, quindi, dei precari che ambiscono ad entrare nella scuola. Semplice. Adeguarsi alla recente ordinanza del Consiglio di Stato la n. 2230 del 23/05/2008 : fare i pubblici concorsi da bandire esclusivamente per quelle materie dove c’è effettivamente bisogno e non per occupare posti. Occorre fornire alla scuola insegnanti capaci di istruire i giovani ai bisogni del mercato. Se non si collegano scuola e università al mercato del lavoro si sforneranno disoccupati e ancor peggio frustrati.
Autore: Mario Incatasciato e-mail: giovanni.incatasciato1@istruzione.it cultura@ingegnicultura.it
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