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La Deriva di Stella e Rizzo  

Dal libro di G. Antonio Stella e Sergio Rizzo "La Deriva" E’ questa la tesi di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo: quella casta, denunciata nel libro omonimo che ha rappresentato il più importante fenomeno editoriale degli ultimi anni, non è soltanto sempre più lontana dai cittadini ma è il sintomo di un Paese che non sa più progettare e prendere decisioni forti, come scrivono nell’ultima loro produzione “La DERIVA” Edizione Rizzoli. Si chiedono :Dove va un paese che assume maestri e docenti solo per sanatorie e promuove tutti anche se somari? “Dalle infrastrutture bloccate da lacci e laccioli di ogni genere, all’attività legislativa farraginosa, dai ritardi nell’informatica che ci fanno arrancare dietro la Lettonia, agli ordini professionali chiusi a riccio davanti ai giovani, dal declino delle Università fai-da-te alle rivolte di mille corporazioni, dalle attività sindacali ai primari nominati dai partiti: l’Italia è un paese straordinario che, nonostante la sua storia, le sue eccellenze, i suoi talenti, appare ormai alla deriva”. “Un Paese che una classe politica prigioniera delle proprie contraddizioni e dei propri privilegi non riesce più a governare”. “Sono 50.000 più che i carabinieri - poco più ,aggiungiamo noi, degli operatori con distacco sindacale e poco meno dei beneficiari della legge 104/92 - i 167.000 bidelli italiani, uno ogni 2,2 classi, denuncia un dossier di Tuttoscuola di Giovanni Vinciguerra, ricordando che in altri Paesi come il Giappone, la Finlandia e la Spagna la figura non esiste ed il compito di tenere puliti i banchi, le aule e i corridoi delle scuole fa parte dei normali doveri degli stessi allievi che così imparano subito ad avere rispetto per la proprietà collettiva. Ed il bello è che, nonostante pesino mediamente per 367.000 euro l’anno ad istituto si ricorre in aggiunta, qua e là, anche a società esterne di pulizia”. “Tema: come può una scuola che concentra la sua attenzione, i suoi soldi, le sue energie in sconcertanti impuntature sindacali, essere all’altezza di un mondo che corre a una velocità doppia, tripla, quadrupla?” “Cosa ci avevano promesso tutti, da destra e da sinistra? Un computer su ogni banco. Bene, se è vero quanto denuncia la rivista di Vinciguerra, abbiamo oggi nelle scuole superiori una media da 30 a 70 computer per istituto. E in quelle del primo ciclo abbiamo più bidelli- 15 e mezzo distribuiti sulla sede principale e sulle sezioni o sedi distaccate- che computer:13”. Mentre noi assumevamo bidelli e docenti precari,rigorosamente “attrezzati”di tessera sindacale,comune requisito purtroppo senza alcuna valenza professionale e didattica, investendo energie in interminabili, stucchevoli e spersonalizzanti contrattazioni sindacali nazionali, regionali e perfino d’istituto sollazzandoci ad incentivare “a pioggia” il nostro personale docente ed ata , a pianificare nell’ambito degli organi collegiali calendari scolastici, sospensioni e pause didattiche, vacanze estive, natalizie e pasquali, a canalizzare i fondi UE in corsi e corsettini ,che non hanno fatto avanzare neppure di un millimetro la qualità della scuola, anzi ce la siamo ritrovata sprofondata agli ultimi posti della classifica Ocse, gli altri Paesi stendevano i cavi delle reti a banda larga per mettere on-line il sistema scolastico e l’intera società,formando,qualificando,responsabilizzando e selezionando il loro personale per renderlo competitivo e adeguato al ruolo ricoperto. “Certo a parole ci abbiamo provato anche noi. Ricordate lo slogan berlusconiano delle tre I: inglese, internet, impresa. Nel giugno 2001 il Cavaliere fece addirittura un Ministro, Lucio Stanca, perché se ne occupasse. Due anni dopo il CIPE approvò una delibera per affidare un grande programma nel Mezzogiorno a Sviluppo Italia che a sua volta istituì una società apposita l’Infratel. Altri due anni e alla fine del 2005, senza che fosse stato passato un metro, manco uno, di 1800 chilometri di cavi a fibre ottiche, veniva firmato un contratto di programma che ratificava la decisione presa nel 2003. Finchè alla fine del 2006, la Corte dei Conti denunciava lo spreco di tempo, l’esagerazione dei soldi dati a manager e l’abisso che si era ingoiato 1.283.799 euro di consulenze”. “Ma quali computer in classe denunciava scandalizzato Mario Fierli, coordinatore nazionale del Programma sviluppo delle tecnologie didattiche del Ministero. E spiegava che non solo la materia era stata data in gestione ai docenti di matematica, che al classico fanno soltanto due ore la settimana, ma che gli elaboratori a disposizione nelle scuole, tre anni dopo le grandi promesse, appartenevano per il 53% alla generazione dei Pentium II, Pentium I o addirittura 486, sigle che non dicono nulla ai non esperti ma riassumibili in due parole: roba antidiluviana. Da giurassico elettronico”. “Nel frattempo, le classifiche internazionali ci vedevano affondare. E se nel 2004 eravamo ancora più o meno con l’Irlanda, la Francia e la Spagna per numero di computer utilizzati, nel 2007 siamo sprofondati dietro tutti compresa l’Estonia, la Slovacchia, la Lettonia, la Lituania”. Recentemente l’Ocse ha pubblicato i risultati dell’indagine svolta nel 2006 e l’Italia si è collocata agli ultimi posti della classifica per la qualità dell’istruzione. Disaggregando i risultati la situazione per le regioni meridionale ,e per la Sicilia in particolare, è molto drammatica. Non ci potrà essere sviluppo economico e sociale senza crescita di capitale umano:questa è la prima emergenza. Bisogna anche interrogarsi come sono stati spesi finora i tantissimi finanziamenti pervenuti nel settore scolastico. Alcune statistiche mostrano ad esempio, che in questi anni l’ammontare delle risorse economiche destinate ai livelli di istruzione primaria e secondaria in Italia è in linea con i livelli europei. Gli altri ne hanno tratto vantaggi, noi no. Allora, se da un lato gli investimenti non mancano e dall’altro il livello di apprendimento dei nostri studenti è così deludente, evidentemente c’è anche un problema di efficienza della spesa. Da troppo tempo, nel campo dell’istruzione, siamo abituati a roboanti proclami, cui spesso però segue il vuoto dei fatti o addirittura, in qualche caso, scelte che vanno nella direzione contraria ai buoni propositi. “Come raddrizzi la rotta- si legge nella Deriva- a un Paese come il nostro ove la politica, costosa e impotente, troppo spesso parla d’altro? Come, se non tornando a governare sul serio, con un senso condiviso del bene comune, smettendola con gli incontri inutili e di bottega ma anche con i compromessi ad ogni costo? Siamo un Paese di Poeti che hanno rinnegato la poesia e la scuola”

Autore: Mario Incatasciato cultura@ingegnicultura.it

da http://www.modica.info 

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